Intervista a Emanuele Rossi, voce della band (indie) pop originaria del padovano, con alcuni pezzi molto freschi alle spalle e il sogno di un tour 2020. Reduci di 30mila view su YouTube e 10mila ascoltatori su Spotify solo per il brano Rovigo, i quattro hanno lanciato il nuovo singolo il 25 giugno, ma «non ditelo a Sandro!»

Chi sono i Baruffa?
Siamo una band di quattro ragazzi nata nell’estate del 2016, anche se in realtà tre di noi, io, il chitarrista Enrico e il tastierista Marco suonavamo insieme già dal 2012. Poi si è aggiunto Luca. Tre anni fa abbiamo conosciuto un talent scout, Cristian Gallana, che ci ha permesso di conoscere il produttore milanese Davide Maggioni, che poi ha fondato Matilde Dischi includendoci nel progetto. Da quel momento sono nati i Baruffa. Abbiamo fatto tabula rasa di tutto quello che sapevamo: scrivevamo tantissimo per capire che linea comunicativa e stilistica volevamo avere, e siamo usciti quando eravamo pronti.
La vostra vita è dedicata completamente alla musica?
Per fare le cose bene ci dedichiamo tantissimo tempo, ma abbiamo tutti attività parallele. Io mi sono appena laureato in giurisprudenza e sto studiando per insegnare diritto alle superiori, Enrico insegna lettere, storia e geografia alle medie, ma anche lui vuole passare alle superiori. Marco studia sassofono al conservatorio e lavora in un circolo Arci, mentre Luca è libero professionista nell’ambito dell’energia.
Ma perché “Baruffa”?
Quando si cominciò a parlare del progetto, noi e Cristian ci siamo trovati in un bar di Rovigo per decidere alcune cose, tra cui il nome. Non avevamo idee che convincessero tutti e fossero allo stesso tempo originali, allora Cristian ha guardato l’insegna del locale: Bar Baruffa.
Vi è piaciuto subito?
Al di là del valore simbolico, ci ha sempre colpito che fosse così in contrasto con chi siamo davvero. Siamo persone molto tranquille, ci dicono spesso che siamo così tanto dei bravi ragazzi che non sembriamo musicisti.
A chi non vi conosce, come spiegate che musica fate?
Noi siamo pop, in tutto. Come sonorità ma anche proprio come approccio alla musica. Ci chiamano indie-pop, ma più per una questione commerciale: con pop si definiscono i cantanti e le band già affermate, come Laura Pausini o Eros Ramazzotti, e personalità giovani sulla scena come Calcutta o i The Giornalisti sono dette indie.
Se vi dicono che il pop è musica “usa e getta”, cosa rispondete?
Ognuno deve fare la musica che si sente. Il pop a ben guardare dura tantissimo, per cui questi discorsi non ci scalfiscono.
Il vostro penultimo singolo è dedicato a Rovigo, perché? È un omaggio alla grande sconfitta di ItaliaGuerraBot o è l’unica città ancora non usata da Calcutta?
Rovigo ha un valore affettivo per due dei nostri membri, Marco ed Enrico, che ci hanno fatto il liceo. Enrico voleva ricordare quel periodo verso la fine dell’adolescenza che resta nelle menti di tutti come un po’ “mitico”, divertente e spensierato. Anche se è ambientata a Rovigo, ci sono dentro i ricordi di tutta la band.
Odore di album, a quando?
Fine 2019, inizio 2020, se dovessi azzardare una data. A giugno uscirà il nostro terzo singolo, e quest’anno ne pubblicheremo altri due. Siamo concentrati su produzione e pubblicità, e i nostri concerti sono in spalla a gruppi dell’etichetta. Quando uscirà l’album però faremo un tour tutto nostro.
Ci dici qualcosa del vostro ultimo singolo, Sandro?
Con tutto il tatto possibile, l’abbiamo scritta ispirandoci a un nostro conoscente. È un tipo introverso, non gli piace per niente essere al centro dell’attenzione: quando gli abbiamo detto di aver scritto una canzone su di lui non ha reagito benissimo (anche perché il nome è proprio il suo). «Certe cose non si fanno, ragazzi», ci ha detto. Ma alla fine si è rivisto nel testo, e noi siamo contenti così.