Credo di essere una delle poche persone che siano andate a Napoli quattro giorni e abbiano trovato quattro giorni di pioggia. Eppure, se anche mi sono persa i limoni a sconfino sul mare e la luce filtrata dai finestrini della circumvesuviana, Napoli ha trovato il modo di imprimere su di me una memoria di straordinaria intensità.
Una delle cose che più mi ha colpito di lei sono stati i profumi. Napoli profuma sempre di qualcosa: di pasta fritta, di colla per le figurine da presepe, di cera votiva. E ancora di rum dei babà, di pasta patane e provola, di pepe dei taralli. Ma soprattutto di caffè.
La storia del caffè è lunga e complicata. Estratto dalla pianta etiope della Kaffa, si è diffuso dall’Abissinia tra X e XV secolo con il nome arabo di «k’hawah», rinvigorente. Conquista il Medio Oriente, il Magreb, la Turchia e l’India, e nel XVI secolo, grazie agli Ottomani, raggiunge le corti d’Europa. Che impazziscono (soprattutto Vienna). Si crea un amore che non finisce: oggi il caffè è il prodotto più commercializzato al mondo dopo il petrolio, e bruciamo 12mila tazzine al secondo. Alcuni luoghi lo assumono come culto più di altri: uno è Napoli.
La ceramica calda, l’acqua rigorosamente prima del caffè (per preparare la bocca, non annacquarla), nessuna zolletta. Il rito, laico ma neanche troppo, è stato importato dall’Austria da Maria Carolina d’Asburgo, moglie di Ferdinando IV di Borbone. Dalla cocumella (la prima caffettiera napoletana) alla macchina per l’espresso, dalla Reggia a Gambrinus, il capoluogo partenopeo ha più che adottato il caffé, rendendolo figlio di due culture.
JE TE VOGLIO BENE ASSAJE
«Baby, tell me why // Je te voglio bene assaje».
Napoletano e inglese, senza bisogno di passare dall’italiano. Il singolo del celebre artista senza volto Liberato, Je te voglio bene assaje, non è che una nuova manifestazione della capacità mimetica e glocale della città partenopea (proprio come il caffè).
Legato visceralmente alla sua città, il cantante mescola insieme alle lingue anche generi diversi: hip-hop e neomelodico, RnB e indie. Ogni verso sembra poter esistere con lingue e ritmi in continuo mutamento, pensato come unione creativa e strategica.
Napoli lo ama, e l’Italia con lei: Liberato sta così contribuendo alla riscoperta culturale della città agli occhi del paese e del mondo. Come merita.