GOOGLE MAPS, ANTITRUST E IL GRANDE GIOCO

Il ricorso di Enel X Italia per le mappe delle colonnine non è solo una questione di affari:conoscere lo spazio significa possederlo e le mappe sono da sempre al centro degli interessi globali.

enel

Che Google sappia fare affari, è chiaro. Ci dev’essere un motivo quindi se nelle scorse settimane il gigante di Mountain View ha impedito di usare su Android Auto la nuova app di Enel: EnelXRecharge, servizio che fornisce la mappa delle colonnine elettriche e permette di prenotarle. Android Auto è una branca del sistema operativo del robottino verde che permette agli utenti di vedere lo schermo dello smartphone sul cruscotto, per guidare in sicurezza. La mossa gli ha guadagnato una diffida di Antitrust per presunto abuso di posizione dominante.

Google non intende però rinunciare al monopolio dello spazio, digitale e non: ha investito milioni nel servizio Maps, tra mappatura del territorio (efficace al punto da far ritirare Apple dal mercato su mobile), calcolo dei percorsi e funzionalità aggiuntive. Tra questi, la celebre Street View e la più recente localizzazione delle colonnine di ricarica. Google, come tutti i servizi onnicomprensivi, punta a trattenere gli utenti il più possibile sulle proprie app: se gli utenti uscissero per trasferirsi su un’altra applicazione smetterebbero di comunicare i preziosissimi dati per cui la piattaforma è stata inventata e di vederne le inserzioni. Proprio secondo questo criterio Enel X Italia, la divisione dell’azienda che si occupa di efficacia energetica e mobilità sostenibile, risulta svantaggiata, e si è rivolta all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm).

 

Occhio

Il grande gioco

Le mappe sono sempre state un nodo di interesse per potere e capitali. Due Paesi molto noti si sono fatti una guerra lunga e silenziosa proprio per mappare l’Asia, Stati che non sono nemmeno propriamente asiatici: Russia e Inghilterra. Mentre infuriava la corsa al colonialismo, si aprì infatti un fronte nelle steppe dell’Asia Centrale: un conflitto sotterraneo combattuto a colpi di diplomazia, servizi segreti e cartografia. Tutto ebbe inizio nei primi decenni dell’Ottocento, quando le due nazioni si accorsero che i territori afghani e turkmeni tra il Sud-Est dell’impero zarista e il Nord dell’India britannica erano sgombri. Anzi, inesistenti: c’era proprio un buco nelle carte. Quel buco però interessava a entrambi. I russi speravano in nuovi mercati e uno sbocco sui mari caldi, di cui sono sempre stata ghiotti (uno dei tanti motivi per cui non hanno intenzione di lasciare la Crimea), mentre l’Inghilterra difendeva a tutti costi la roccaforte indiana (che portava montagne d’oro nelle casse della corona). Mentre la Russia avanzava inesorabile, gli inglesi proponevano alleanze al limite con lo sfruttamento ai khanati asiatici sperando di creare un cuscinetto, e nominavano la regina Vittoria Imperatrice d’India almeno per essere importante quanto l’Imperatore e zar Alessandro III.

grande gioco

I cartografi (quelli inglesi direttamente da National Geographic) venivano inviati senza eserciti e in anonimato nei territori ignoti per scoprire la terra e portarla al proprio impero. In questo modo, la sensazione dei Paesi coinvolti era di qualcosa che esisteva ma non si vedeva: entrambi cominciarono chiamarlo il Torneo delle ombre (Tournament of Shadows, Turniry Teney).  Mentre i cartografi scrivevano e viaggiavano forsennatamente, la stanchezza di fine secolo cominciò a farsi sentire. Nuovi fronti diretti o indiretti chiedevano l’attenzione delle due potenze (come la Germania di Bismarck), e firmano un accordo di pace. La competizione alla Risiko, tanto spregiudicata quanto silenziosa, non era diversa dallo scacchiere commerciale che le grandi aziende vivono oggi. Con una differenza: il “chi prima arriva meglio alloggia” non vale più, e al giudice non si scappa. Non si tratta solo di Google: i giganti della Silicon Valley stanno cominciando a pagare il prezzo del creare una piattaforma e monopolizzarla (per citarne uno, il caso Spotify contro Apple).

Le mappe piacciono a tutti, da sempre. Lo dimostrano in Europa e nel mondo i motori di ricerca (Google, Bing, Yandex) e le aziende tecnologiche basate sul GPS (Garmin, TomTom), per non parlare delle case automobilistiche, che hanno cominciato a integrare nelle proprie macchine sistemi di navigazione fatti in casa (Fiat, Bmw, Honda per citarne alcuni). Se il gioco delle bandierine dura da secoli (da molto prima che gli americani compissero quel fatidico piccolo passo sul nostro satellite), la domanda adesso è: esiste ancora qualcosa che non sia mappato?

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